Incontriamo spesso Giorgio Barbato, perché frequentiamo i medesimi posti. Lui vive in montagna, e noi capitiamo lì alla bisogna: il più delle volte per piacere. Ci riconosciamo da lontano, prima ancora di salutarci; poi, basta una stretta di mano, fugace, nascosta tra il chiacchiericcio degli amici che frequentiamo. Di fotografia parleremo dopo, lo sappiamo già; ma anche lì basteranno poche parole: circoscritte, precise, concrete.
Giorgio parla piano, con lucidità; a lui non serve molto: nella vita, come in fotografia; però riesce a guardare lontano, oltre gli orizzonti cercati da ragazzo, quando il mondo finiva con la vista di altre pendici: quelle irraggiungibili.
Eppure Giorgio viaggia molto. Ce ne accorgiamo quando non lo incontriamo nei luoghi abituali; così scopriamo che è in Nepal o altrove, cercando di narrare progetti imbastiti in precedenza: sempre con cautela e rigore, con modestia per farla breve. Del resto, l’umiltà (altra dote di Giorgio) non consiste nel farsi piccoli, ma nell’accorciare la distanza tra ciò che si è e quanto si porta avanti. Questa è una legge della montagna o delle piccole comunità: crescendo, quasi ci si rende conto di essere chiamati a un ruolo predestinato, dal quale non si può sfuggire.
Giorgio certamente ha voluto fare il fotografo, ma si è anche scoperto tale: vivendo, un giorno dopo l’altro; così ha fatto la sua parte, sapendo di compiere la cosa giusta. Quando la vita ci chiama a un ruolo, il bisogno dei proclami viene ad azzerarsi; e li nasce la modestia, quella vera. Quest’ultima non nasce dai bassi profili, ma dalla coscienza di sé. Il valore della modestia è tutto lì. Giorgio lo conosce bene.
Tratto da " Il valore della modestia " di Mosè Franchi